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La solidità della banca è la priorità del sistema

di Alessandro Graziani

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7 ottobre 2008

«Prima pensiamo a tirare fuori rapidamente l'UniCredit dall'occhio del ciclone della speculazione, poi casomai penseremo alla nostra reputazione». C'è poca "arroganza" giovanile e molto buon senso del "padre di famiglia" nelle conversazioni del vertice di UniCredit guidato dall'amministratore delegato Alessandro Profumo. Forse perché le difficoltà hanno provato anche uno dei manager più "tosti" del panorama bancario. O forse perchè, superati i cinquant'anni, si guarda più a difendere ciò che si è costruito che a se stessi. È un dato di fatto che Profumo, dopo aver più volte negato di dover procedere a un aumento di capitale, non ha esitato a proporne uno d'urgenza al proprio consiglio di amministrazione, seppure di soli 3 miliardi, dopo essersi scusato con l'intero board e con la platea di analisti e gestori per aver sottovalutato le recenti dinamiche della crisi. Per il cda di UniCredit ricevere le scuse dal proprio top manager è certamente una novità. Così come per gli analisti delle grandi banche d'affari, che nei loro report hanno protestato anche per l'assenza di target reddituali certi al 2010 (che è come chiedere le previsioni meteo a due anni).

Ma è inutile negare che Profumo, pur di far superare l'attuale fase di impasse all'UniCredit, ha messo da parte ogni orgoglio di tipo personale. E così, malgrado le recenti tensioni con Cesare Geronzi sulla nuova governance di Mediobanca, proprio a Piazzetta Cuccia è stato chiesto un sostegno decisivo alla ricapitalizzazione. E l'intero sistema – compresi Governo e Autorità – si è mosso per propiziare una rapida uscita di UniCredit dall'occhio del ciclone.
In condizioni normali, UniCredit non avrebbe avuto alcun bisogno di chiedere soldi – anche se pochi – al mercato. Lo scenario internazionale, invece, è quello che è. Negli Stati Uniti sono fallite venti banche. E in Europa gran parte dei big del credito stanno su grazie alle recenti iniezioni di capitale di fondi sovrani o degli Stati nazionali.

Quando poi la tempesta sarà passata, è la convinzione del management di UniCredit, il mercato e il sistema finanziario, economico e politico torneranno a guardare il bicchiere mezzo pieno. E scopriranno che, nell'anno peggiore per le banche dal 1929, l'UniCredit chiuderà il bilancio con un utile di oltre 5 miliardi di euro. Che la scommessa della diversificazione strategica nell'Europa dell'Est produce una crescita dei ricavi al ritmo del 25% annuo. Che con un aumento di capitale da tre miliardi, si è tirato fuori dalla crisi speculativa un gruppo che ne capitalizza quasi 40 e che ha un total asset di mille miliardi in venti Paesi che vanno dall'Italia, alla Germania, fino alla Turchia e all'Uzbekistan.
Ma finché infuria la speculazione, c'è poco spazio per far valere i fondamentali. L'unica cosa da fare, nell'interesse della banca, è di alzare rapidamente le barriere e sottrarla al ciclone. Mettendo da parte l'orgoglio personale e aprendo il varco a qualche critica. Vale anche per UniCredit, più che per Profumo, la massima aristotelica: «Primum vivere, deinde philosophare».

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